LECCE (di Carmen Tommasi) – La disperazione di Davide Moscardelli, le lunghe lacrime di Franco Lepore e Filippo Perucchini, gli occhi lucidi di Romeo Papini in sala stampa, la sola apparente tranquillità di Piero Braglia a fine gara e il dolce applauso dei tifosi giallorossi alla squadra. Dall’altra parte, la festa dei satanelli, l’esplosione di gioia di uno stadio “Pino Zaccheria” con un pubblico gioioso e con delle coreografie degne d’applausi, la soddisfazione lampante del bravo Roberto De Zerbi e le macchine festanti per le vie della città per una finale playoff più che meritata in cui i rossoneri incontreranno il Pisa di Rino Gattuso. Il derby tra Foggia e Lecce (terminato 2-1), valido per la semifinale (3-2 all’andata) di ritorno playoff è stato tutto questo e anche altro. Due partite che hanno dimostrato tutti i limiti del Lecce e tutti i valori del Foggia, quest’ultima non una squadra irresistibile ma sicuramente ben messa in campo, organizzata, con qualità e che rispecchia il forte temperamento del suo allenatore. Dall’altra parte i giallorossi, la stessa squadra dei 18 risultati utili di fila che ha positivamente rimontato, con l’arrivo di mister Piero Braglia nel Salento, i soli sei punti conquistati dall’esonerato Antonino Asta.
ERRORI E RIMPIANTI – Un Lecce che per il quarto campionato di fila manca (meritatamente) l’obiettivo serie B e questa volta lo fa anche per demerito di un tecnico toscano che si è ostinato a puntare sempre e quasi esclusivamente sui propri uomini di fiducia, quelli che considerava all’altezza e non tenendo presente una panchina ben assortita che nell’occasione giusta avrebbe potuto dare una mano agli stanchi e troppo “spremuti” undici titolari (vedi Dàvis Curiale, Andrea Beduschi, Matteo Liviero, Giuseppe De Feudis, Alessandro Camisa e lo stesso Salvatore Caturano). Una squadra con un’identità tattica, a volte, esageratamente debole e con una manovra di gioco troppo timida che ha faticato ad emergere anche nei periodi in cui i risultati arrivavano e la classifica sorrideva. Questo perché nel calcio, si sa, il primo imputato è sempre l’allenatore, quello a pagare più di chiunque altro, anche se in campo, poi, ci vanno i calciatori. Cosa resta, allora, di un campionato conclusosi con un’altra delusione e con l’obiettivo mancato? Una società, quella di Piazza Mazzini, che ha tutto il desiderio di migliorarsi e di programmare una nuova stagione all’altezza della categoria, una rosa che va rivista e rinnovata e dei tifosi, la Curva Nord, da applausi. “Incredibili”, come sono stati definiti, proprio nel post match, dal capitano Romeo Papini. Fedeli e innamorati di una squadra che avrebbe dovuto premiarli con la conquista dell’ambito sogno e che invece li ha fatti piangere.