LECCE (di M.Cassone) – Fuori dal Via del Mare il cielo è grigio, quasi nero, annuncia la pioggia, ma all’interno della Sala Stampa “Sergio Vantaggiato” quando entra il Dott. Peppino Palaia torna il sereno. Lui è un protagonista naturale, è un leader, che con tono scherzoso e sarcastico, unito alla professionalità e alla competenza massima che il suo ruolo richiede, ha scritto tantissime pagine indimenticabili della storia dell’U.S.Lecce ed è di nuovo pronto a scriverne altre. È emozionato non lo nasconde, è felice, non può nasconderlo, torna a coltivare una passione e un sogno, aiutare il Lecce a ritornare nel calcio che conta.
Prima di lasciargli parola e spazio il direttore sportivo Meluso lo presenta dicendo, appunto, che non ha bisogno di presentazioni: «Sono qui a presentare un ritorno, un grande professionista, lo abbiamo accolto con grandissimo entusiasmo perché è un professionista di primissimo livello che ci darà una grande mano. L’anno scorso è stato vicino per ritornare poi per una serie di motivi questo matrimonio si è concluso con po’ di ritardo. La struttura rimarrà invariata con il dott. Marti, dott. Congedo, dott. Tondo, la struttura del dott. Palaia lavorerà in sintonia con i nostri fisioterapisti Fiorita e Soda; null’altro da aggiungere…».
E poi via al “Peppino pensiero”, un fiume in piena che tra una battuta e l’altra non nasconde il suo desiderio più grande, quello di festeggiare, tra 3 anni, il 50° di “panchina” e sogna di farlo in serie A perché come dice: «Basta andare in B quest’anno e fare B-B-A».
Una grande iniezione di entusiasmo che serviva ad un ambiente che ultimamente ha risentito degli avvenimenti e soffre maledettamente per il 6° anno di serie C.
«Sono emozionato e sono stato colpito per l’onda mediatica nei miei confronti che è sembrato uno tsunami considerando che poi sono un medico; Palaia è servito anche da sostanza tampone, i calciatori sono stati belli calmi e tranquilli, viva l’Italia perché sono rientrato io, e questo mi ha fatto piacere per la corrispondenza di affetto nei miei confronti che mi ha entusiasmato e non vi nascondo di essermi anche commosso. Lasciai il Lecce spontaneamente, non c’è stata nessuna frizione, qualche anno fa non ci siamo capiti sul mio ruolo e ho accolto con piacere la richiesta di Meluso che mi è simpatico perché mi ricorda un grandissimo direttore, Mimmo Cataldo, oltretutto sono anche di origini calabresi, ci siamo trovati in sintonia, ho accettato l’invito come Giuseppe Palaia ma soprattutto come Palaia Human Care che è ormai un gruppo che viene diretto dai miei figli Antonio ed Enzo che conta su 3 strutture e tra poco saranno 4 con l’apertura a Racale, che mi supporteranno dall’esterno per la fisioterapia, il riferimento sarà mio figlio Antonio e gestirà dall’esterno l’aspetto fisioterapico mentre dall’interno ci saranno due ragazzi, uno l’ho visto nascere e crescere e l’altro crescere, e ahimè prima di loro ho lavorato con i loro genitori, Fernando Fiorita e Rino Soda, e allora mi guardo nello specchio e dico quanti anni ho? Mi faccio i conti ma guardando nello specchio invece di 72 anni leggo 27 (sorride, n.d.r.) e mi convinco di averne 27. Il mio entusiasmo è immutato, quando faccio qualcosa sposo in toto la causa. È un obbligo morale il mio perché devo continuare l’opera intrapresa da 3 colleghi che non ci sono più, Carlo Pranzo, Antonio Montinaro, e Gigi Cappello con i quali ho condiviso tantissimi momenti; li definivo le mie sostanze tampone perché io sono un esplosivo. Soprattutto Carlo mi tamponava e proprio a Congedo, che già conoscevo, ho fatto questo esempio. Bisogna capire che si tratta di lavoro di equipe e sinergie che devono migliorare il team ognuno per quelle che sono le loro competenze. I miei scatti in panchina? La prima la dovrò fare perché mi devono vedere in campo ma poi è giusto che vada il dott. Congedo in panchina, poi vedremo, giostreremo. Il medico la domenica potrebbe anche non esserci, il lavoro si fa in settimana e deve essere quotidiano e deve essere da spogliatoio. Sto ritrovando la passione del calcio. In 4 anni di basket sono rimasto seduto in silenzio in panchina, non c’è la componente emotiva che c’è nel calcio, io sono un calciofilo. La prima partita che ho visto di basket credevo che l’arbitro non si fosse accorte che il canestro era bucato (sorride, n.d.r.)».
Si ricomincia da dove aveva lasciato, da un sorriso intriso di grinta e professionalità.