LECCE (di M.Cassone) – Il destino ci mette lo zampino. Dopo una stagione strana durante la quale il popolo giallorosso ha sognato la promozione diretta ma si è visto scavalcare da un Foggia stratosferico che ha “giochicchiato” sulle debolezze del Lecce ed è balzato meritatamente in serie B, ci si ritrova a giocarsi tutto in 90 minuti contro una delle favorite alla vittoria finale.
Dopo aver salutato Padalino la società di Via Col.Costadura si è proiettata nei playoff con Roberto Rizzo. Il tecnico di San Cesario però, seppur abbia cambiato il modo di sviluppare il gioco, adattandolo al suo credo, è rimasto fedele al 4-3-3; il Lecce è migliorato nella fase difensiva, specialmente nei due ultimi incontri ma è incapace di offendere nonostante crei le occasioni giuste per farlo. Il Lecce di Rizzo non perde… ma non vince: cinque pareggi uno dietro l’altro, maturati in maniera diversa ma accomunati dallo stesso limite. La squadra non riesce a fare gol. E se in questo sport chiamato calcio non fai gol non scriverai mai nessuna storia.
La partita di ieri è lo specchio fedele di quest’appendice di stagione. I giallorossi provano a fare la partita, hanno le palle gol, ma preferiscono centrare i cartelloni pubblicitari invece di gonfiare la rete. Imprecisione, fretta e paura di sbagliare conducono sempre sulla via dell’errore, anche nel calcio, soprattutto nel calcio.
L’Alessandria si difende, ha ottimi palleggiatori; Gonzales e Bocalon sanno tenere palla, quando serve la nascondono e poi la smistano per provare a pungere. Marras è una spina nel fianco. Nicco spinge e tiene. Cazzola, che sarà squalificato nella gara di ritorno, è mente, geometria e cuore della squadra. I grigi hanno una rosa veramente impressionante, in panchina c’erano Iocolano, Mezavilla, Piccolo, Sestu, tutta gente che potrebbe essere titolare in serie B. Ciò nonostante al Via del Mare costruisce ben poco e va in gol su una delle due occasioni veramente pericolose che crea, e questo deve far riflettere: una squadra fa paura quando riesce a realizzare quel poco che costruisce.
Il Lecce si ritrova rinchiuso in uno scafandro chiamato 4-3-3, un modulo asfissiante per certi versi, e non è mai stato messo nelle condizioni di cambiare pelle. Padalino è stato (a Lecce) integralista di questo modulo. Rizzo ha poco tempo per provare altre soluzioni. E quindi ci si ritrova a non saper cambiare pelle, come un camaleonte incapace di cambiar colore in un campo di predatori. Ma non c’è più tempo nemmeno di parlarne e analizzare questi concetti. La realtà è una: con limiti, meriti, pregi e difetti il Lecce è questo, il Lecce c’è, non è inferiore alla squadra di Pillon, anzi avrebbe meritato la vittoria, e domenica al Moccagatta gioca la sua finalissima.
Poi arriverà il tempo per analizzare tutte le pecche di una rosa che sembrava ben assortita ma ha dei limiti evidenti: uno tra tutti la personalità in alcuni importanti frangenti. Ora però non è tempo di critiche, nemmeno costruttive, non è tempo di fare nomi e cognomi, si vince tutti insieme e si perde allo stesso modo; ora è tempo di mettersi accanto a questa squadra, di chiudere gli occhi e respirare, insieme a loro, l’odore della speranza. Perché se bisogna soffrire fino alla fine, bisogna farlo tutti insieme. D’altronde ad Alessandria si partirà completamente alla pari.
Fuori gli attributi… non è tempo per essere pessimisti. Avanti con ottimismo, poi si vedrà.